La scomparsa di Guido Altarelli

È un’occasione tristissima quella che ci ha radunato tutti qui a rivolgere l’ultimo saluto al nostro caro Guido. Questo dolore è solo molto parzialmente allievato dal vedere un gran numero di amici venuti anche da lontano.
Il nostro tempo qui, sulla terra, è limitato e il suo gli è stato tolto prematuramente. Ma alla fine, quello che conta veramente è l’impronta che abbiamo lasciato. Guido ha lasciato un’impronta profonda nella nostra comprensione delle leggi di quest’universo, nella fisica moderna.  
Guido è stato un grande scienziato, con un talento eccezionale per la fisica, e questo lo sappiamo tutti.  Ma non è stato uno scienziato solitario, egoista, che si cura solo di quanto la propria ricerca gli possa portare di prestigio personale. Guido era anche un ricercatore che lavorava insieme agli altri in una grande comunità, quella del CERN in particolare, e della fisica delle alte energie più in generale.
Molti dei lavori di Guido, sia i più celebri che quelli meno noti, sono nati in uno spirito non solo di ricerca ma anche di servizio verso la comunità a cui apparteneva. In fondo anche il lavoro più noto che abbiamo scritto insieme era nato da un’idea di Guido, quella di rendere più trasparenti, più fruibili i risultati precedentemente  ottenuti sulle violazioni di scala.
Ma noi che siamo riuniti qui sappiamo che Guido ha lasciato una grande impronta anche nei nostri cuori. Per qualcuno di noi, come per me, era un amico fraterno, per altri era un maestro o un caro collega, e tutti noi gli dobbiamo qualcosa.
È difficile pensare a Guido senza ricordarsi della sua risata, risata che era facile suscitare, che non era beffarda, ma gentile, un modo di esprimere la sua compartecipazione o il suo stupore verso una novità. Forse i tratti più caratteristici di Guido erano una grande gentilezza e onestà intellettuale, accompagnata da uno sguardo sempre un po’ ironico su se stesso e sulla vita.
Come spesso accade, il suo successo scientifico non si può separare dalle qualità del suo carattere e non dipendeva solo dalle sue capacità tecniche. La sua grande curiosità, la gioia che provava nel capire cose nuove, nel mettere insieme  i pezzi di un puzzle, gli permettevano di fare grandi sintesi sullo stato dell’arte di una tematica, sintesi che sono state cruciali non solo per fare il punto della ricerca, ma anche per indicare nuove strade. Era amante delle formulazioni chiare, precise comprensibili a tutti. Per me la collaborazione con lui è stata utilissima. Io non posseggo affatto queste qualità ed eravamo complementari.
L’ultima volta che ci siamo visti è stato il luglio scorso, a Vienna per ritirare un premio che avevamo preso insieme, quando la sua malattia stava già incominciando a peggiorare, ma non in modo visibile. Ci siamo abbracciati, abbiamo parlato a lungo, siamo stati a cena due volte con Monica, con cui formava una coppia solida, affiatatissima.
 Apparentemente stava bene e io, che non l’avevo visto da qualche anno, non mi sono accorto di niente (erano in pochissimi a sapere della sua malattia). Era sempre il buon vecchio Guido, tranquillo e di buon’umore, con cui era un piacere conversare. Abbiamo parlato anche dei suoi figli e si sentiva l’orgoglio e l’affetto che aveva per tutti loro. Non mi dimenticherò mai la sua serenità in quello che per lui era un momento tragico: non so se ne sarò capace anch’io.

Giorgio Parisi

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